Con una frase apparentemente semplice ma dal peso politico enorme, Donald Trump ha rilanciato lo scontro a distanza con il presidente venezuelano Nicolás Maduro. Nell’intervista concessa alla CBS, ha risposto senza esitazione alla domanda se ritenga che i giorni di Maduro siano contati: "Direi di sì. Penso di sì, sì". Parole che hanno immediatamente fatto il giro del mondo e che suonano come una dichiarazione di fine corsa per il leader di Caracas, ormai da anni al centro delle tensioni tra Washington e l’America Latina.
Trump, tuttavia, ha cercato di frenare le interpretazioni più bellicose, precisando subito dopo che non si aspetta un intervento militare imminente: "Io ne dubito. Non penso proprio". Eppure, le sue parole arrivano in un momento in cui i movimenti delle forze armate statunitensi nella regione caraibica raccontano una storia diversa. Fonti di stampa americane e satelliti commerciali hanno confermato che navi da guerra, tra cui il gruppo d’assalto anfibio guidato dalla USS Iwo Jima, si trovano a meno di duecento chilometri dalle coste venezuelane.
Secondo fonti del Pentagono, si tratta di manovre nell’ambito delle operazioni antinarcotici, un dispositivo già annunciato come parte della lotta ai cartelli della droga, ma che molti osservatori considerano una copertura per un’azione di pressione diretta sul governo di Maduro. Nelle ultime ore, inoltre, gli Stati Uniti hanno iniziato a riattivare la base navale di Roosevelt Roads, a Porto Rico, chiusa dal 2004, in quella che viene interpretata come una mossa strategica per assicurarsi una presenza militare permanente nella regione.
La reazione di Caracas non si è fatta attendere. Maduro ha definito le parole di Trump "una provocazione" e ha accusato Washington di voler "fabbricare una guerra" per rovesciare il governo venezuelano. In un discorso trasmesso in diretta nazionale, ha annunciato l’aumento dello stato di allerta per le forze armate e la mobilitazione delle milizie civili in tutto il Paese, affermando che "il Venezuela è pronto a difendere la propria sovranità con ogni mezzo".
Anche Mosca è intervenuta nella crisi. Il ministero degli Esteri russo ha definito "eccessiva e destabilizzante" la concentrazione di forze americane nei Caraibi e ha ribadito il proprio sostegno al governo venezuelano, ricordando che esistono accordi di cooperazione militare tra i due Paesi. Da parte sua, la Cina ha invitato gli Stati Uniti alla "moderazione", pur senza entrare nel merito delle operazioni navali.
Sul piano interno, la mossa di Trump sembra avere anche un valore politico: riaffermare la leadership americana nel continente e, al tempo stesso, distogliere l’attenzione da altre crisi internazionali. L’America Latina torna così al centro della geopolitica di Washington, in una logica di deterrenza più che di guerra. Tuttavia, l’attuale dispiegamento militare, la riattivazione di basi strategiche e le recenti operazioni marittime con fuoco reale – che hanno già provocato diversi morti in acque contese – rendono la situazione sempre più tesa.

