Pressioni ribassiste in arrivo sul petrolio ma non tali, per ora, da pesare sui titoli del settore in Piazza Affari: da Eni a Saipem. Il timore di un eccesso d'offerta resta sullo sfondo frenando gli otto stati membri dell'Opec+, che ieri hanno deciso un nuovo piccolo aumento della produzione giornaliera di greggio. Per la terza volta consecutiva i delegati hanno aumentato la produzione di 137mila barili al giorno per poi prendersi una pausa di quattro mesi.
«Oltre a dicembre, per motivi stagionali, - spiega una nota - gli otto Paesi hanno deciso di sospendere gli incrementi di produzione a gennaio, febbraio e marzo 2026 ed hanno ribadito che il livello di 1,65 milioni di barili al giorno potranno essere raggiunti in parte o per intero, in base all'evoluzione delle condizioni di mercato e in modo graduale».
I Paesi produttori continueranno a monitorare e valutare attentamente le condizioni di mercato con un approccio cauto.
Gli occhi dei Paesi del cartello del greggio (in cui siedono (Algeria, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kazakistan, Oman e Russia) restano puntati sui 2,2 milioni di barili al giorno annunciati nel novembre del 2023, un punto di riferimento ufficiale per ora lontano. Questo anche alla luce del fatto che Mosca potrebbe avere difficoltà ad aumentare la produzione dopo che Stati Uniti e Regno Unito hanno imposto nuove misure restrittive ai principali produttori Rosneft e Lukoil.
Un atteggiamento prudenziale, quello dell'Opec+ che si è riflesso nei prezzi di mercato dell'ultima settimana. Il Wti ha chiuso venerdì sotto quota 61 dollari al barile (+0,68% a 60,98 dollari) e il Brent sotto quota 65 dollari (+0,62%). Nel primo caso il calo settimanale è stato dello 0,84%, nel secondo invece dello 0,66%.
Le quotazioni del greggio rimangono piuttosto volatili per il timore di un'imminente eccesso di offerta. Tra le cause una domanda piuttosto incerta in Cina e le sanzioni Usa sul petrolio della Russia, che è appunto tra i principali membri di Opec+. Proprio quest'ultimo provvedimento aveva spinto i prezzi del greggio nella settimana tra il 17 e il 24 ottobre, partendo da quotazioni sui minimi da inizio maggio: 57,15 dollari al barile per il Wti e 61,1 dollari per il Brent. In questo quadro l'obiettivo di lungo termine dell'Opec+ resta quello di recuperare parte della quota di mercato ceduta negli ultimi anni agli Usa, ma serve una maggior produzione.
Sullo sfondo c'è anche la visita del prossimo 18 novembre del principe saudita Mohammed bin Salman al presidente Usa Donald Trump, che ha invocato più volte un calo dei prezzi dei carburanti. Un aumento della produzione potrebbe quindi fare gioco a Riad per rinsaldare i legami con Washington.
Il periodo da gennaio a marzo è il trimestre più debole per quanto riguarda la domanda e l'offerta di petrolio e, sospendendo i tagli l'Opec+, dimostra di gestire il mercato in modo proattivo, ha affermato Amrita Sen di Energy Aspects. Giovanni Staunovo di Ubs ritiene «improbabile che i prezzi del petrolio subiscano grandi variazioni all'apertura delle contrattazioni di oggi, poiché il modesto aumento della era stato ampiamente previsto». Ma si addensano nubi all'orizzonte. L'Agenzia internazionale per l'energia di Parigi prevede che l'offerta mondiale potrebbe superare la domanda di oltre 3 milioni di barili al giorno nel quarto trimestre del 2025, con un'eccedenza ancora più ampia attesa nel 2026.

