L'incidente probatorio di Garlasco si è concluso senza vincitori né vinti. L'aplotipo Y rinvenuto sulle unghie di Chiara Poggi, riconducibile alla discendenza patrilineare della famiglia di Andrea Sempio non è una prova regina per arrivare alla richiesta di rinvio a giudizio senza ulteriori elementi che, però, al momento non ci sono. È stata comunque cristallizzata l'assenza del Dna di Alberto Stasi sul corpo della vittima, che è un elemento valido per una futura richiesta di revisione. Ma soprattutto, hanno sottolineato dal pool dell'unico condannato con sentenza in giudicato di questo caso, era possibile arrivare a questo risultato già nel 2014. È quanto si legge nelle "osservazioni" alla perizia genetico-forense discussa giovedì al termine dell'incidente probatorio e depositate dai legali di Stasi, firmate dal consulente Ugo Ricci, biologo e genetista, parte del pool difensivo di Stasi.
"Già nel 2024" il "profilo genetico di Alberto Stasi" doveva "essere escluso quale contributore" alle "tracce" di Dna maschile individuate sui "margini ungueali", scrive Ricci, esperto della Forensic Genit Unit dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi. A suo avviso, infatti, l'allora perito della Corte d'assise d'appello che condannò Stasi a 16 anni avrebbe dovuto escludere l'ex fidanzato "a prescindere dal metodo statistico" utilizzato oggi e non utilizzabile all'epoca perché il metodo è stato "pienamente riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale" solo nel 2015. La ragione di questa conclusione risiede nel fatto che il profilo di Stasi e tutti gli altri soggetti inseriti nell'incidente probatorio, a "eccezione" di quello di Andrea Sempio, sono "del tutto discordanti" già dall'analisi dei tracciati elettroforetici.
Invece, Francesco De Stefano scrisse nel 2014 che a causa della "degradazione" del dna e "verosimile contaminazione ambientale" non poteva fornire una "indicazione positiva di identità" e "né si può escludere" che fosse presente "anche dna riferibile ad Alberto Stasi". Durante l'esame in Aula, De Stefano a domanda precisa se avesse trovato il dna di Stasi o che non fosse di Stasi rispose "che non era possibile fare alcuna considerazione in tema di identità o di esclusione". Il dna non fu considerato dalla Corte uno degli elementi per condannare l'oggi 42enne detenuto a Bollate ma se si fosse escluso probabilmente la sentenza sarebbe andata in un'altra direzione. Ugo Ricci scrive anche che "i reperti delle unghie di Chiara Poggi non erano degradati e dunque ciò aumenta la genuinità dei profili genetici determinati" e che concorda "con l'opinione espressa dal perito Denise Albani e in particolare con il fatto che" ai tempi non sia stato "utilizzato un metodo di lavoro validato".

