AGI - "Presenza di Stasi sulle unghie di Chiara Poggi? È sbagliato parlare di presenza o assenza perché si parla di caratteri genetici che ci sono o non ci sono. Ci sono dei caratteri che sono condivisi da più persone, qualcuno potrebbe essere anche di Stasi, da quello che si legge nella perizia della dottoressa Denise Albani. Poi c'è un risultato che sarebbe compatibile con Sempio per il quale ci sono 12 marcatori su 16 e, in più, alcuni di questi risultati sono contaminati". Lo afferma in un'intervista all'AGI il professor Francesco De Stefano, il genetista che firmò la perizia nel 2014 sul DNA estratto dalle unghie di Chiara Poggi.
All'epoca De Stefano sostenne di non avere acquisito risultati "consolidati" sul materiale genetico analizzato sulle unghie e, quindi, non validi scientificamente. "Ci sono due posizioni: la mia era stata conservativa e garantista. Siccome non è possibile nelle tre repliche avere una conferma dei risultati, era stato il mio ragionamento, io dissi che i risultati non servivano a nulla. Non avevo nel quesito la richiesta di fare un'analisi biostatistica mentre Albani aveva nel quesito questa necessità di fare un confronto biostatistico. Le è stato chiesto e lei ha fatto il suo dovere ma stiamo parlando di ipotesi, non c'è nessuna certezza. Ecco perché sono ipotesi che vanno consolidate dentro un'aula di giustizia".
Perché è sbagliato parlare di dna di tizio o di caio
De Stefano spiega perché in questa fase è sbagliato parlare di DNA di tizio o di caio. "La perita fa un'analisi dicendo che ci sono tre dita su nove che hanno dato delle risposte. Per ogni dito fanno un confronto con tutte le persone di cui hanno preso il DNA e dicono che ci sono dei caratteri che corrispondono a tizio o a caio.
Come giustamente sostiene Albani, nella sua perizia che io sottoscrivo in gran parte dal punto di vista scientifico, non c'è nessun risultato consolidato per cui le ipotesi si basano su dei risultati non consolidati e quindi scientificamente non sostenibili più di tanto".
Il ragionamento nella genetica forense
"Ci sono tracce di Stasi? Voi tutti giornalisti vi siete innamorati di 'c'è il DNA di tizio o caio' ma non è così che si ragiona quando si fa la genetica forense. Ci sono dei caratteri e noi vediamo che livello di compatibilità o incompatibilità c'è con le persone su cui si svolge l'indagine. Non c'è il DNA mio o di qualcun altro. Ci sono dei caratteri genetici che poi, successivamente, possono essere attribuiti o dichiarati compatibili oppure dei caratteri verosimilmente da escludere. Ma sono sempre verosimiglianze, non si può dire che c'è il DNA di tizio o di caio".
L'importanza del contesto e il trasferimento del dna
Sul metodo usato da Albani, incaricata della perizia dal Tribunale di Pavia, De Stefano ritiene che "i dati statistici non sono la verità, sono delle ipotesi più o meno sostenibili. E poi rimane sempre di fondo la necessità di capire quando quel DNA si è trasferito e con quali modalità. La stessa Albani dice probabilmente che è da contatto".
Quello che preme sottolineare a De Stefano è che questi dati vanno sempre inquadrati in un'aula di tribunale. Fa un esempio eclatante che risale al 2002 quando un barista di Liverpool venne accusato dell'omicidio in una pineta toscana di una giovane donna. Il DNA nella banca dati portò all'arresto del barista che era stato censito in precedenza per guida in stato di ebbrezza. Risultò poi che l'uomo aveva un alibi di ferro e si trovava in Inghilterra, come testimoniato da numerose persone.

