A Mashhad, in Iran, nel carcere di Vakilabad, Mohammad Javad Vafaei Sani, campione di boxe di 30 anni, aspetta il suo ultimo giorno. È detenuto lì da già cinque anni per aver partecipato alle proteste del novembre 2019, represse brutalmente nel sangue dal regime degli Ayatollah. La sua storia è drammatica, ma esemplare della crudeltà della dittatura religiosa iraniana. Vafaei Sani è stato arrestato nel marzo 2020 dai Pasdaran per «corruzione sulla Terra». Capo d’accusa vago e utilizzato di solito proprio contro i dissidenti. Vafaei Sani ha subito torture fisiche e psicologiche in prigione ed è stato messo in un durissimo isolamento.
Gli è stato attribuito di sostenere l'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano, partito politico tra i più attivi nel battersi contro il regime teocratico che ha preso il potere in Iran dopo la Rivoluzione del 1979. Ora il gruppo di opposizione è fuori legge. Vafaei Sani è stato condannato a morte dopo "un processo gravemente iniquo", ha denunciato Amnesty International. La richiesta di un nuovo procedimento per lui è stata respinta il 15 dicembre. Lo stesso giorno, gli è stata concessa la visita della madre. Una mossa che gli attivisti ritengono possa essere un segnale di una sua imminente esecuzione. "La sua vita è in grave pericolo, la sua condanna a morte potrebbe avvenire da un momento all'altro", ha dichiarato Shahin Gobadi, della commissione affari esteri di una coalizione di movimenti di opposizione.
Anche Nassim Papayianni, responsabile delle campagne di Amnesty International sull'Iran, ha ribadito: "In più occasioni abbiamo sostenuto che questa accusa non rispetta i principi di legalità e chiarezza richiesti dal diritto internazionale. I tribunali rivoluzionari mancano di indipendenza e impongono pene severe a seguito di processi gravemente iniqui. Alle persone processate davanti a tali tribunali viene sistematicamente negato il diritto a un giusto processo, incluso a Vafaei Sani”.
Mauricio Sulaimán Saldívar, presidente del World Boxing Council, ha invece ricordato: "Il pugilato è una disciplina che ispira coraggio, rispetto e la ricerca del miglioramento personale. L’esecuzione di un pugile, di un campione, per aver espresso le sue idee è un attacco diretto ai valori fondamentali dello sport e alla dignità umana”. Prigionieri politici e dissidenti sono obiettivi del regime teocratico, soprattutto dopo la rivolta "Donna, Vita, Libertà" del 2022, scoppiata in seguito alla morte di Mahsa Amini picchiata a morte dalla polizia morale perché non indossava correttamente l’hijab. Le autorità iraniane stanno intensificando le esecuzioni e usano la pena di morte per spaventare e mettere a tacere la popolazione e rafforzare la loro presa sul potere.