Non è solo un libro di cucina e non è nemmeno un’autobiografia nel senso tradizionale del termine. "50-Anni, racconti, ricette" (Rizzoli), è il punto d’incontro tra memoria, territorio e gusto. Un racconto intimo in cui Roberto Valbuzzi ripercorre la propria storia personale e professionale attraverso episodi di vita che diventano piatti. Nel volume, lo chef celebra anche i cinquant’anni del Crotto Valtellina, il ristorante di famiglia che ha saputo rinnovare senza tradirne l’anima, trasformandolo in un laboratorio di cucina sostenibile e profondamente legata alla terra. Tra ricordi d’infanzia, incontri con produttori, stagioni che scandiscono i menu e riflessioni sul senso del cucinare oggi, Valbuzzi si mette a nudo e racconta un percorso fatto di scelte, emozioni e consapevolezza. In questa intervista, lo chef ci accompagna dentro "50", spiegando perché per lui ogni ricetta nasce prima di tutto da una storia.
Chef, dopo tante esperienze tra cucina e televisione, quando ha sentito il bisogno di mettere tutto su carta?
"Questo è il mio quarto libro, ma "50" è diverso dagli altri. Non nasce dall’esigenza di scrivere un altro libro di ricette. Qui il punto di partenza sono i racconti. Ho sentito il bisogno di fermarmi e raccontare dei momenti di vita: 50 episodi, 50 frammenti che parlano di esperienze personali. Le ricette arrivano dopo, sono una conseguenza di ciò che accade nel racconto."
Quindi il cuore del libro non è la cucina in senso stretto?
"Esatto. Non è il classico “andavo in cucina con mia mamma”. Sono episodi che, all’apparenza, potrebbero non avere nulla a che fare con il cibo. Ma leggendo tra le righe si scopre che ogni storia è legata a doppio filo a un ingrediente, che poi diventa una ricetta. Volevo raccontare l’emozione che genera un piatto, non solo il risultato finale."
Come ha scelto questi 50 episodi e cosa raccontano di lei?
"Sono come dei piccoli marchi indelebili, momenti che ti restano addosso. Per esempio, per parlare delle uova racconto lo scontro silenzioso con il gallo Arturo, ogni volta che entravo nel pollaio sapendo che mi avrebbe beccato. È il racconto di quell’emozione lì, che poi porta alla ricetta. Oppure ci sono storie più intime, come il cambio generazionale, cosa significa per un ragazzo prendere in mano un luogo che ha già un’identità forte e trovare la propria strada."
Che tipo di racconti ci sono nel libro?
"Di tutti i tipi, a partire dai tempi dell’alberghiero, marachelle innocenti, episodi divertenti, ma sempre legati al cibo. E poi momenti universali, come cucinare per la prima volta per qualcuno che vuoi conquistare; l’ansia, il dubbio se fare troppo o troppo poco. Emozioni che tutti possono riconoscere."
Quanto ha inciso la sua infanzia in fattoria e il rapporto con la terra nella sua idea di cucina?
"In modo totale. Il rispetto per la materia prima nasce da lì. La terra, se curata, restituisce tanto. Questo mi ha portato a costruire una cucina contemporanea e tecnica, ma senza mai perdere il legame con ciò che mi circonda. Nel libro racconto anche le storie dei produttori: cavatori di asparagi, coltivatori di zafferano, allevatori. Io mi faccio portavoce delle loro vite."
C’è un episodio che l'ha colpito più di altri?
"Penso a uno scavatore di asparagi che è arrivato al matrimonio con le mani ancora sporche di terra perché doveva finire il raccolto prima che il sole scaldasse troppo il terreno. È questo l’amore per la terra, una passione che viene prima di tutto."
La sostenibilità è un tema centrale nel libro. Cosa significa per lei cucinare in modo sostenibile oggi?
"Fare delle scelte, anche radicali. Non si può cucinare tutto, ovunque, sempre. Noi utilizziamo ciò che cresce intorno a noi. Non usiamo prodotti che non appartengono al nostro territorio. Seguiamo il flusso produttivo, se un ingrediente c’è per tre settimane, lo usiamo in quel periodo. Poi magari lo trasformiamo, lo fermentiamo, ma il fresco è quello."
Quanto conta ridurre gli sprechi?
"È fondamentale. Una cucina sostenibile deve essere circolare: da un solo ingrediente si possono ottenere cinque o sei preparazioni diverse. Questo riduce quasi a zero gli sprechi. È più difficile che ordinare tutto con un click, ma è molto più coerente."
Pensa che oggi il pubblico sia più consapevole su stagionalità e origine dei prodotti?
"Sì, c’è più informazione grazie a media, social e tv. Io ho cercato di raccontare questi concetti in modo leggero. Per esempio, aspettare le ciliegie a giugno rende quel momento speciale. Mangiarle a dicembre non ha senso, né emotivo né economico. L’attesa fa parte del piacere."
Quanto le ha insegnato Cortesie per gli ospiti sul rapporto degli italiani con la cucina di casa?
"È uno spaccato meraviglioso dell’Italia. Soprattutto al Sud, l’accoglienza si misura nel tempo dedicato alla preparazione del pranzo, che spesso inizia giorni prima. Al Nord siamo più veloci, ma ovunque si percepisce il valore della tradizione e del tramandare le ricette."
Guardandosi indietro, qual è stata la scelta più importante della sua carriera?
"Capire che carriera televisiva e carriera gastronomica dovevano viaggiare su due binari paralleli senza scontrarsi. È stata la cosa più difficile ma anche la più premiante. Costruire credibilità come cuoco, senza essere visto solo come “quello della tv”, è stato un lavoro lungo."
Se dovesse riassumere 50 in poche parole, quale sarebbe il suo messaggio?
"È una voce che racconta emozioni gastronomiche. Un libro che permette al lettore di immergersi in momenti di vita reali, belli e brutti. Perché il cibo, per noi italiani, è sempre lì, accompagna ogni emozione."