Nella serata di ieri è andata in onda la prima semifinale della Supercoppa italiana che, come ormai accade da qualche tempo, si gioca in Arabia Saudita. Già questo è oggetto di polemica da parte di chi contesta la scelta di portare all'estero un torneo nazionale, togliendolo di fatto alla fruibilità dei tifosi, per offrirlo a un Paese che per altro è nel mirino per questioni politiche importanti. Ovviamente, la scelta di giocare in Arabia Saudita si lega a un ingente versamento di denaro delle casse dell'organizzazione del torneo, ma anche delle squadre, sempre a caccia di capitali. Ma sul piano etico, questa decisione presenta numerosi punti critici.
Prima di tutto, l'Arabia Saudita non è un Paese noto per essere liberale, soprattutto nei confronti delle donne e la dimostrazione è stata palese quando sono apparse le donne velate con la coppa. Questa presenza femminile, accuratamente coreografata e "velata", diventa lo specchio di una modernizzazione di facciata. Se da un lato il regime saudita cerca di proiettare un'immagine di apertura attraverso lo sport, dall'altro la realtà dei fatti parla di una libertà ancora pesantemente vigilata e legata a diktat religiosi. Vedere quelle donne sul terreno di gioco, confinate in un ruolo puramente estetico e simbolico, non è un segno di progresso, ma la conferma che il calcio italiano ha accettato di adattarsi a codici culturali e politici che nulla hanno a che fare con i valori di uguaglianza che vengono però promossi negli stadi italiani.
C’è poi l'abdicazione dell'identità in nome del marketing: il caso del Milan, che ha scelto di scendere in campo con i nomi dei calciatori scritti in caratteri arabi, rappresenta l'apice di questa deriva. Il club rossonero ha scelto di scendere in campo con i nomi dei giocatori scritti in arabo come gesto simbolico di rispetto verso il Paese ospitante, l'Arabia Saudita. Per il Milan si tratta di una mossa strategica per rafforzare il proprio marchio in Medio Oriente, un mercato dove il club ha già diverse collaborazioni attive (come quella con Emirates) e punta a crescere ulteriormente, a fronte di capitali disponibili potenzialmente illimitati.
"Le immagini della no italiana di ieri lasciano veramente perplessi. Partite in Arabia Saudita, nomi dei calciatori sulle maglie del Milan in arabo e donne velate a portare il trofeo. Come può la Lega Calcio permettere tutto questo? Capiamo che ormai non è più sport ma solo una questione di soldi, però a tutto dovrebbe esserci un limite", ha dichiarato Silvia Sardone, europarlamentare della Lega. "Già giocare in Arabia Saudita non è il massimo ma poi vedere, di nuovo, la celebrazione del velo islamico, lo strumento d’oppressione per eccellenza, rappresenta una vergogna assoluta! Pensavamo in un ripensamento, dopo le scene delle donne velate con la coppa dell’anno scorso e invece ci sbagliavamo… Basta con la svendita del nostro calcio e delle nostre tradizioni! La Lega Calcio cominci a pensare ai tifosi anziché prestare il fianco a chi ci regala immagini che rappresentano uno spot all’islamismo", ha concluso.