“Se dobbiamo raccontare il lavoro di Medihospes nei Centri Antiviolenza allora dobbiamo dire che il titolo è Dal silenzio alla rinascita”. Ci accoglie così Silvia Santamato, referente nazionale di area della cooperativa sociale Medihospes, una grande realtà italiana del terzo settore, 6000 operatori che assistono ogni anno oltre 20mila persone, con oltre 5 milioni di ore di lavoro. In Italia Medihospes gestisce 7 Centri Antiviolenza o d’ascolto contro la violenza di genere e Silvia coordina quelli di Bari, dove Medihospes gestisce due CAV, i Centri Antiviolenza, realizzando un compito esemplare in una società dove la violenza contro le donne continua a rappresentare un fenomeno strutturale, diffuso e spesso invisibile. I Centri Antiviolenza (CAV), che nascono in Italia con una legge del 2013, e sono conformi ai principi della Convenzione di Istanbul del 2011, costituiscono oggi uno dei presìdi fondamentali del sistema pubblico di protezione, chiamati non solo a intervenire nelle emergenze, ma a garantire percorsi continuativi di ascolto, tutela e autodeterminazione delle donne che vi si rivolgono. «Chiariamo subito che i CAV non sono sportelli generici, ma luoghi specializzati in cui i diritti delle donne vengono riconosciuti e protetti nella loro interezza», sillaba Santamato, «la centralità della donna, la gratuità dei servizi, la riservatezza e la continuità dell’intervento non sono slogan, ma requisiti non negoziabili del nostro lavoro quotidiano».
Allora, che cosa ci si trova ad affrontare in un CAV e perché entrarci può cambiare la vita? “Spesso si immagina la violenza solo come un'aggressione fisica, ma le testimonianze che raccogliamo mostrano una realtà più complessa, subdola. Prima ancora delle mani, a colpire sono le parole e la manipolazione”, sottolinea Santamato, che ci guida dentro una giornata di lavoro in un CAV Medihospes. Qui si danno nomi chiari alle situazioni invisibili, ignote ai più ma non a chi subisce. Facciamo degli esempi. Il Gaslighting appare un definizione per specialisti, “ma è delle forme più devastanti” interviene Santamato, “un meccanismo psicologico con cui il maltrattante porta la donna a dubitare della sua stessa memoria e salute mentale. Frasi come "Sei pazza", "Ti inventi tutto", o "Hai capito male" non sono semplici litigi, ma tentativi mirati di delegittimare la percezione della realtà della vittima”. A questo si aggiunge la violenza “economica”, un "laccio invisibile” che impedisce la fuga. Il controllo ossessivo delle spese o l'impedimento a lavorare creano una dipendenza materiale che rende l'addio quasi impossibile. Non sono teorie, ma storie vere, “come quella di Maria, una donna di quasi 60 anni accolta dal CAV Medihospes”, “per molto tempo non ha chiesto aiuto proprio perché non veniva picchiata, ma manipolata. Ricordo quando ci ha scritto titubante "mi chiedo: è violenza domestica questa? Mai uno schiaffo... eppure sento di morire dentro".
Ecco, La sua prigionia era fatta di "mille telefonate al giorno e guai se non rispondeva subito". È uscita dall'incubo solo quando ha capito che "la verità lascia tracce, devi solo imparare a cercarle". Un’altra storia vera è quella di Francesca, che parla del suo convivente: "ha usato soldi e mezzi per controllarmi... costringendomi a fare scelte dolorose senza avere risorse sufficienti". E senza autonomia economica, una donna si convince di non avere alternative.
Al CAV Medihospes di Bari l’accoglienza riguarda anche un’altra categoria di persone, se possibile ancora più indifesa. Spiega Santamato: “un errore comune è pensare che i bambini non soffrano se non vengono colpiti direttamente. La realtà documentata dagli esperti è diversa e si chiama violenza assistita. I figli vedono, sentono e assorbono tutto, anche i silenzi carichi di tensione. Pur senza ferite fisiche, questi bambini possono sviluppare ansia, insonnia, aggressività o chiudersi in un isolamento protettivo”. Così molte madri temono di chiedere aiuto per paura dell'intervento dei Servizi Sociali, spaventate dalla minaccia dell’abusatore o dal più errato pensare comune: "Se parli ti portano via i figli". No. “È fondamentale sfatare questo mito” insiste Santamato:” l'Assistente Sociale e il Centro Antiviolenza lavorano con l'obiettivo opposto! Ovvero proteggere il legame madre-figlio e garantire la loro sicurezza congiunta”. Ed ecco un altro brandello di vita vissuta, la fuga di Olga per amore di sua figlia, “perché spesso sono proprio i figli a dare il coraggio” racconta Santamato, “Olga è scappata di notte, attraversando i confini nazionali da sola e incinta, non voleva far nascere sua figlia in un mondo crudelmente rassegnato. Ci ha consegnato una frase potente, che vale per ogni genitore: "Non voglio crescere una figlia che impari la rassegnazione, ma che sappia la differenza tra l'amore e la paura".
Incontri e testimonianze non sono mai mancati in questo CAV di Medihospes, allo stesso modo sono realmente numerosi gli strumenti offerti a chi s’avvicina sperando in un aiuto. “Uscire dalla violenza richiede coraggio, ma anche meccanismi pratici che lo Stato e i Centri Antiviolenza mettono a disposizione” riprende Santamato, “è fondamentale che le donne sappiano di non essere sole, anche sul piano economico e legale”. Stiamo parlando di avere un avvocato gratuito per i reati di maltrattamenti, violenza sessuale e stalking (la donna ha diritto al patrocinio a spese dello Stato a prescindere dal proprio reddito); c’è la procedura d'urgenza (il cosiddetto “Codice Rosso”), cioè un percorso prioritario che prevede l'ascolto della donna da parte del pubblico ministero entro 3 giorni, per permettere misure immediate come il divieto di avvicinamento o l'allontanamento del maltrattante da casa; parliamo di indipendenza economica, grazie al “Reddito di Libertà” e alla possibilità di richiedere un ISEE separato da quello del marito (fondamentale per accedere a bonus e servizi sociali escludendo il reddito di chi commette violenza); esiste infine anche un'alternativa alla denuncia, perché in casi di stalking è possibile richiedere l'Ammonimento del Questore, cioè una procedura amministrativa veloce e gratuita per "diffidare" ufficialmente lo stalker.
E non finisce qui, al CAV di Medihospes lavorano anche per gestire il pericolo che viene improvvisamente incontro. “Quando la convivenza diventa rischiosa, aiutiamo la donna a predisporre un vero e proprio piano di sicurezza" rivela Santamato, dando consigli pratici: “avere un Kit di emergenza, una borsa sempre pronta (magari nascosta o lasciata a una persona fidata) contenente documenti, chiavi di riserva, contanti e medicinali, per scappare rapidamente in caso di escalation; poi sicurezza e codici, viene insegnato alle vittime come gestire la propria sicurezza digitale (le misure più immediate, cambio password, blocco della geolocalizzazione).
Arriviamo, infine, al significato del percorso che Santamato ha fin qui illustrato, il traguardo a cui tende ogni Centro Antiviolenza e che il CAV Medihospes a Bari ben rappresenta “il nostro impegno non serve solo a "mettere in salvo" una donna, ma a permetterle di rinascere”. Insomma, le storie raccolte dal CAV testimoniano che dopo il buio è possibile non solo sopravvivere ma vivere pienamente. E la quotidianità riconquistata vive tutta nella semplice ultima frase di Santamato “C'è chi riprende gli studi, chi trova lavoro, chi riscopre la propria bellezza”.